La discussione sulla vera grandezza
33Giunsero a Capernaum;quando fu in casa, domandò loro: «Di che discorrevate per strada?»34 Essi tacevano, perché per via avevano discusso tra di loro chi fosse il più grande. 35 Allora, sedutosi, chiamò i dodici e disse loro: «Se qualcuno vuol essere il primo, sarà l’ ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36 E preso un bambino, lo mise in mezzo a loro;poi lo prese in braccio e disse loro:37 «Chiunque riceve uno di questi bambini nel nome mio, riceve me;e chiunque riceve me, non riceve me, ma colui che mi ha mandato».
38 Giovanni gli disse: «Maestro, noi abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome, [e che non ci segue; e glielo abbiamo vietato perché non ci seguiva». 39 Ma Gesù disse: «Non glielo vietate, perché non c’ è nessuno che faccia qualche opera potente nel mio nome, e subito dopo possa parlar male di me. 40 Chi non è contro di noi, è per noi. 41 Chiunque vi avrà dato da bere un bicchier d’acqua nel nome mio, perché siete di Cristo, in verità vi dico che non perderà la sua ricompensa (Marco 33-41, Matteo 18, 1-11; Luca 9 46-50).
Prima di questo brano che è stato letto in questa sera, si racconta che Gesù annuncia per la seconda volata la sua morte e la sua resurrezione, (Marco 9, 30-37), ma di discepoli non hanno compreso le sue parole. Giunsero a Cafarnao, Gesù entra, probabilmente nella casa di Pietro, dove aveva liberato la suocera di Petro della febbre (1, 29-31). Entrati nella casa, chiese loro di che cosa parlavano sulla strada? pero questi tacevano, perché per via avevano discusso tra di loro chi fosse il più grande.
La questione di precedenza, di potere, chi è il più grande? come dicono gli evangelisti Matteo e Lucca (Matteo 18, 2; Lucca 9, 46) interessano e appassionano i Dodici più dell’annuncio della passione ripetuto da Gesù spese volte, perché il desiderio di essere il primo, il più grande, di sentirsi superiori agli altri e di dominarli è da sempre il cancro dell’umanità.
Se qualcuno vuol essere il primo, sarà l’ ultimo di tutti e il servitore di tutti».
Quando parliamo dei primi posti, sia a livello della società, sia a livello ecclesiastico le comunità si dividono. Non c’è male nell’aspirare ai primi posti in società, oppure nella chiesa, anzi può essere segno di un dono dello Spirito Santo, una possibilità di servire di più gli altri. Gesù sa che ognuno vuole e deve realizzarsi, però è male fare della propria professione una questione di orgoglio; la sete del potere è un grave pericolo per la chiesa. Essere il servitore di tutti, è un invito di amore e d’umiltà a portare la propria croce. Gesù nella sua grandezza non afferma se stesso a spese dell’altro, ma lo promuove, no si serve dell’altro, ma lo serve, non lo spoglia di ciò che ha, ma si spoglia a suo favore di tutto. Gesù dimostra ai discepoli che la vera grandezza e quella di diventare come Lui, dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli (Gv. 13, 14-15). San Agostino commentando il problema “chi fosse il più grande?”, dice: “Osservate l’albero: anzitutto ricerca la parte più bassa per crescere in altezza; fissa la radice in profondità, per erigere la cima verso il cielo. Tu al contrario (…) non hai radice e vuoi spaziare in alto? Questo è un precipitare, non un crescere“[1]. Al inizio abbiamo affermato che, i discepoli si dividevano tra di loro in nome del proprio io. Se il proprio nome, individuale o collettivo, è la causa di divisione; solo il “Nome” di Gesù, per chi crede in Lui, è fattore di unità tra tutti. Gli ortodossi e i cattolici incontrano le stesse sfide che la modernità impone alle forme tradizionali della vita. In altre parole, pur non essendo una chiesa unita, poiché restiamo divisi su diverse questioni teologiche e ecclesiologiche, noi possiamo trovare quelle forme d’azione comune che ci permettono di rispondere alle sfide della modernità, intendo dire a promuovere i valori della fede, dell’amore e della famiglia tradizionale.
Inoltre l’evangelista ci dice: “preso un bambino, lo mise in mezzo a loro; poi lo prese in braccio e disse loro:«Chiunque riceve uno di questi bambini nel nome mio, riceve me;e chiunque riceve me, non riceve me, ma colui che mi ha mandato».
Gesù alla questione nata tra i discepoli, chi è il più grande? risponde con un gesto simbolico alla loro vanità, accoglie con amore e mette al centro dei dodici un bambino, che è un modo di rovesciare tutto, cioè indica che il più piccolo, è il più grande. Dimostrando a questi che essi devono essere come bambini per entrare nel regno di Dio ( Matteo 18, 3). La presenza dei bambini in una famiglia e nella società significa purezza, spontaneità, fiducia, amore e fede incontaminata. I bambini e sono il futuro di una nazione e della chiesa. Nella società antica, ai tempi di Gesù, i bambini ricordavano ben altro; un essere dipendente, perciò a carico degli altri; un essere bisognoso di protezione, dipendente dagli altri, non aveva posizioni o diritti legali, era una parte delle ricchezze degli adulti, non era un essere che interessasse per se stesso. Assimilandosi con il bambino, il centro della vera chiesa, lo mette al posto di maggior dignità, diventa Lui stesso servo e ultimo, diventa il modello del povero. Quando Gesù accoglie il bambino, i bambini, il suo comportamento e sulla stessa linea di quello che tiene di fronte ai poveri, ai pubblicani, ai peccatori, perché Lui: “… si è spogliato se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Filippesi 2, 6). San Paolo dice: “Fratelli non comportatevi da bambini nei giudizi, siate come bambini quanto a malizia, ma uomini maturi nei giudizi” (I Corinzi 14, 20). Paolo vuole sottolineare che è bimbo, ogni persona che non fa alcun male al prossimo, poiché i bimbi sono ingenui. I fedeli devono essere come sono i bimbi, che non hanno nessuna malvagità nel cuore. L’idea, secondo cui accogliendo un piccolo si accoglie Gesù stesso, è affermata da tutti gli evangelisti. Oggi le priorità nella vita sociale sono la carriera, il denaro, la prosperità materiale, mentre la famiglia e i bambini (solo uno o due) sono tutt’altro che al primo posto. Le chiese devono collaborare, senza farla dipendere dal successo o dai fallimenti del dialogo teologico, per crescere sani i figli, perché loro sono il futuro di ogni chiesa o nazione, cosi come sottolinea Gesù Cristo.
Secondo la Sacra Tradizione il bambino tenuto tra le braccia di Gesù si chiama Ignazio, più tardi eletto vescovo d’Antiochia, discepolo del san apostolo ed evangelista Giovanni. E chiamato anche “portatore di Dio” (Θεοφόρος), perché portava Dio nel suo cuore e lo pregava incessantemente. A lui è attribuita la pratica del canto antifonale (a due cori), durante i servizi religiosi. Aveva avuto una visione di angeli in cielo che alternandosi cantavano lodi a Dio, e divise il coro della sua chiesa per seguire questo esempio. Al tempo della persecuzione, nell’anno 106 l’imperatore Traiano (98-117), dopo la vittoria sugli Sciti, ordinò che tutti rendessero grazie agli dèi pagani. Sant’Ignazio respinse di sacrificare agli idoli, per questo è stato mandato a Roma perché venisse gettato ai leoni.
La Tradizione dice che durante la sua esecuzione, sant’Ignazio avesse incessantemente ripetuto il nome di Gesù Cristo. Quando gli chiesero perché facesse questo, sant’Ignazio rispose che questo nome era scritto nel suo cuore, e che confessava con le labbra Colui che egli aveva sempre portato dentro. Il santo fu divorato dai leoni, ma il suo cuore non fu toccato. Quando tagliarono i resti per dischiuderne il cuore, i pagani videro scritto a lettere d’oro: “Gesù Cristo”.
Viviamo in un tempo di crisi globale. La società d’oggi si confronta con la sfida economica, ecologica, sociale, religiosa e spirituale.
Gesù Cristo ci chiama ad ascoltare il Suo Vangelo, a coltivare l’amore di Dio e del prossimo, la santità della vita, la generosità, il valore della persona umana, della famiglia tradizionale e la bellezza dell’anima. Nella Chiesa Ortodossa esiste una preghiera molto breve, chiamata preghiera del cuore: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me peccatore”, e consiste nel ripetere continuamente l’invocazione del nome di Gesù Cristo. Scrivendo nei nostri cuori, con lettere d’oro il nome di Gesù, credo che comprenderemo meglio il ruolo della nostra fede, del’unità della fede e la cooperazione tra le chiese.
Padre Pompiliu Nacu